Happy Pensy al lavoro. Photo credits: Lara Perentin

Vi siete mai chiesti se tutte le persone “pensionabili” abbiano veramente voglia di smettere di lavorare?

Certo, è una questione molto soggettiva. Dipende dall’attaccamento di ognuno di noi al lavoro, dal livello di identificazione con la propria azienda, con il proprio ruolo, da un numero infinito di variabili.

Ascolto mio marito mentre, nella stanza attigua, lavora da remoto. Per quanto si ritrovi a dribblare problemi e sfide quotidiane, non riesco a immaginarlo in pensione. Mi viene difficile associarlo a un’agenda vuota dagli impegni lavorativi. Quel momento arriverà prima o poi, e lui sarà molto più preparato di me, riuscendo a stupirmi ancora una volta, con quel suo positivismo indistruttibile. La sua agenda diventerà da piena a intelligentemente flessibile.

Ho cercato di scovare sondaggi italiani su questo argomento, ma non ho trovato molto. 

Pensionabili: pubblicità vs realtà

Faccio un salto in un altro continente. Secondo una ricerca americana, condotta da AARP (American Association of Retired Persons), il 50% delle persone pensionate avrebbe preferito continuare a lavorare. Vi sembra impossibile? Eppure, l’immagine tradizionale del pensionamento, quella che ci arriva dai media o dalla pubblicità, vuole che le persone in pensione passino il resto della vita in completo relax. Godendosi il tempo libero o, semplicemente, ammazzandolo, a seconda dei gusti. 

Effettivamente, per molti la vita è in pensione è questo: godersi il riposo, gli hobbies, la famiglia, i nipotini.  Non c’è nulla di giusto o sbagliato nel modo in cui una persona interpreta, gestisce e vive la propria libertà. Ma questo messaggio pubblicitario un po’ fané, incompleto e fuori tempo, cozza spesso con quello che una parte di noi vuole o cerca di realizzare. 

persone pensionabili

Se si considera che, nell’ultimo secolo, la popolazione ha acquisito quarant’anni di vita grazie al miglioramento della salute collettiva e alla modernizzazione degli stili di vita, va da sé che il sessantenne di ora non è certo quello di un tempo. L’età matura si è molto allungata ed è molto più variegata di quanto accadesse in precedenza, come se si fosse diluita. Abbiamo una vitalità diversa.

Oltre a questo, quando si lascia un’attività lavorativa full-time, si rischia di perdere parecchio, non soltanto lo stipendio a fine mese! Ad esempio:

  • si può perdere la prima cosa per cui ci si alza dal letto la mattina;
  • la soddisfazione di veder realizzato il proprio progetto;
  • l’importanza di sentire che conti qualcosa;
  • lo status sociale;
  • l’identità;
  • l’ammirazione degli altri;
  • il team work;
  • occasioni di crescita e sviluppo professionale.

Per molti di noi, il lavoro ha rappresentato l’essenza di chi eravamo. Una grossa parte della nostra identità e del nostro vivere sociale che ha ostacolato la distinzione di due dimensioni: quella lavorativa e quella personale.

“Work is the new retirement for many” 

Joe Coughlin

Alcuni esperti di longevity economy suggeriscono di gestire, o meglio navigare la longevità, anche immaginando nuove soluzioni per i lavoratori più anziani, con ruoli flessibili, maggiormente vivibili e in ambienti inclusivi. “Work is the new retirement for many” afferma Joe Coughlin, direttore dell’AgeLab del MIT di Boston.  

L’AARP, citata in precedenza, mette a disposizione agli over 60 (in cerca di un’occupazione) alcuni criteri per selezionare quei datori di lavoro che non discriminano in base all’età ma che, al contrario, valorizzano i super adulti come risorsa culturale, esperenziale e, in generale, come figure di riferimento. Fantascienza? Dalle nostre parti sembra proprio di sì.

Eppure trovare un’occupazione, anche part-time, può essere importante in questa fase della vita, probabilmente può aiutare a vivere più a lungo, a sentirsi maggiormente ingaggiati e non isolati dal resto del mondo. Il volontariato potrebbe essere una scelta di valore (se andate su Cocooners, trovate parecchi suggerimenti) o ad esempio, la partecipazione a un comitato di quartiere, o un’attività di mentorship. L’importante, secondo me, è seguire il proprio ikigai, ovvero lo scopo della vita, la propria felicità. 

“Non si può andare in pensione a 65 anni e dar da mangiare ai piccioni al parco per i successivi venti a spese dello Stato o con il gruzzolo insufficiente che si è messo da parte in una vita di contribuzione…” sostiene Emanuela Notari, esperta di longevity economy e co-fondatrice di A.L.I. Active Longevity Institute. Come sempre, il punto di vista della Notari è estremamente interessante: c’è bisogno, come lei stessa sostiene e auspica, di un disegno ben preciso che preveda incentivi e accordi fra pubblico e privato. Un disegno che permetta ai lavoratori di aggiornare le loro competenze, aiutandoli a lavorare qualche anno in più e dopo l’età pensionabile.

Food for thought! Andate a dare un’occhiata all’articolo completo!

Pensionamento generAt(t)ivo

Leggevo sul Corriere Buone Notizie del 17 maggio di un progetto lanciato in Veneto, che aiuta le persone a trovare una via dopo il lavoro: “Attivo il mio tempo: un pensionamento generAt(t)ivo”, promosso da Csv Belluno, Treviso. Qui vengono formati nuovi volontari per promuovere opportunità di relazione sociale, apprendimento intergenerazionale arricchendo di nuova linfa le associazioni di volontariato. “Attivo il mio tempo” consente ai neofiti di conoscere chi opera nel proprio territorio, di scoprire cosa poter fare attraverso uno sportello di orientamento dedicato.  

A me sembra un’iniziativa di estrema utilità per la comunità. 

“La parola d’ordine è innovare, mettere in circolo ogni buona idea, attivare nuove energie contaminando realtà talvolta chiuse in sé stesse. In sintesi, la sfida è mettere in rete tanti soggetti diversi per lavorare al meglio assieme”, dice Cinzia Brentani, coordinatrice del Csv di Verona.

Qualche esempio illuminante dall’estero?


Oltre queste iniziative locali, alzando lo sguardo a un livello più alto (mia madre mi raccomandava sempre di non camminare fissando i piedi), ripenso a come il Governo inglese nel 2020 aveva preso con grande serietà il tema dell’invecchiamento della popolazione, prevedendo la possibilità, per i senior, di lavorare più a lungo e in salute. In particolare ricordo un articolo di Emanuela Notari in cui si sottolineava come il  paese avesse inserito l’invecchiamento della società fra le quattro grandi sfide su cui aveva delineato le proprie linee strategiche (intelligenza artificiale e big data, crescita sostenibile, mobilità, invecchiamento della società).

 

Il governo di allora, si legge nell’articolo, dichiarava che era giunto il momento di ripensare al contributo da offrire, in ogni fase della vita, a famiglie, società e al modo in cui ci relazioniamo a temi vitali come: il lavoro, il denaro, la salute, la cura e la residenzialità. La missione aveva lo scopo di garantire alla popolazione inglese, entro il 2035, almeno cinque anni in più di vita in salute e autonomia e, allo stesso tempo, di ridurre la distanza in termini di qualità dell’invecchiamento tra ricchi e poveri. Nello specifico, il piano intendeva raggiungere i seguenti obiettivi:

  • sostenere i lavoratori, in modo che restassero occupati più a lungo;
  • creare mercati, di prodotti e servizi, che andassero incontro alle necessità della popolazione senior;
  • guidare i progressi sanitari e di innovazione della pubblica assistenza.

Anche se probabilmente sono cambiate molte cose, considerate le recenti turbolenze politiche del paese, quest’approccio pragmatico dimostra come si possa “cavalcare l’onda invece di esserne travolti”, avendo la chiara consapevolezza dei grandi mutamenti in atto nella società e mettendo sul piatto soluzioni concrete per risolvere problematiche che sono sotto gli occhi di tutti.

 

Il mio confronto con chi è ancora “parte del gioco”

Quando, a fine settembre, ho accettato di partecipare a una serata con ex colleghi ancora “parte del gioco”, durante la quale ognuno raccontava dei propri progetti, non ho provato nostalgia, né mi sono sentita in disparte. Oltre all’enorme piacere di rivedere persone con cui ho condiviso gioie e dolori, avevo anch’io qualcosa da raccontare. Una nuova identità, un nuovo percorso. E quel qualcosa mi piace sempre di più.
Mia sorella mi chiede: “ma quando vai in pensione veramente?”

Non posso, ho troppo da fare, sto scrivendo un nuovo capitolo della mia vita. In fondo, la pensione è una nuova carriera.

persone pensionabili

La postazione di lavoro di Happy Pensy.

Conclusioni

  • Aver vissuto una carriera di soddisfazioni non spalanca le porte a una vita in pensione di contenuto. È importante trovare la propria strada, alla ricerca del proprio ikigai.
  • Per molti può essere importante trovare una nuova occupazione (continuare a lavorare ancora qualche anno, se possibile, avviare un’attività di consulenza, di mentorship, di volontariato, un lavoro in proprio).
  • La vita in pensione può essere vissuta in modi completamente diversi, a seconda delle proprie esigenze.
  • L’inattività porta spesso all’isolamento.

 

Ora tocca a te

    Stai pensando a come sarà la tua vita in pensione? Vuoi continuare a lavorare?

    Lasciami un commento, ne sarò felice!

     

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