Immaginiamo di essere appena andati in pensione e, dopo una fase di euforia, provare una spiacevole sensazione di noia e smarrimento. Ci si sente soli nell’affrontare un nuovo inizio, spesso nella parziale incomprensione da parte degli altri. Pacche sulle spalle, congratulazioni. “Beata te!”; “che invidia!”; “fortunata!”; “ma chi sta meglio di te?” ecc.  Parole che, inevitabilmente, ci allontanano.

Immaginiamo di trovarci di fronte a un cambiamento di vita, non banale, che richiede fantasia, coraggio, capacità di ricostruirsi. Si tratta di un percorso fatto di piccoli passi, a volte incerti, a volte più decisi. Si cade, ci si rialza. Si vorrebbe trovare la propria strada in un batter d’occhio, dormire sogni tranquilli, svegliarsi al mattino con grande energia, pronti a vivere una nuova giornata con entusiasmo, perché il bello deve ancora venire. 

Anche se la scelta di uscire dal contesto di lavoro è spesso vissuta come una vera e propria liberazione da costrizioni e ritmi di lavoro poco vivibili, in realtà, con il passare del tempo, per molte persone quel senso di libertà si trasforma in una sorta di vuoto esistenziale.  

“Ma perché? Quali sono gli ostacoli che si frappongono fra noi e la felicità?”. Bella domanda.

Le risposte sono molteplici e non uguali per tutti ma, semplificando, spesso il problema è legato all’elevato livello di identificazione con il proprio contesto di lavoro. La rottura con questo legame, soprattutto se brusca e improvvisa, può condurre ad un senso di perdita di rilevanza sociale (ci si sente invisibili agli occhi degli altri), facendoci credere di andare verso una versione meno incentivante della nostra vita. 

Esagero? Dai messaggi che sto ricevendo, penso che simili situazioni di malessere siano molto diffuse. Tutti noi infatti abbiamo bisogno di una identità precisa, un senso di noi stessi quando ci relazioniamo con gli altri. 

Così quando ci chiedono: “Cosa fai nella vita?” e noi rispondiamo: “Ero dipendente di banca”; “Ero tal dei tali in quella azienda”; “Facevo la/il responsabile del…” e via dicendo, ci stiamo riferendo a una parte di noi che appartiene al passato, che non c’è più. Un po’ triste, non credete?  Ecco perché è fondamentale, per prima cosa, ricostruirsi un’identità che vada a colmare quei vuoti che ci destabilizzano e che valorizzi la nostra unicità, la percezione che gli altri hanno di noi. 

 

Questo è il vero punto di partenza: ricicliamoci!

Preferisci “Pensionato”, “Campione di Tempo Libero” o “Degustatore di Vita”?

Vita in pensione: qual è la giornata perfetta?

Ernie J. Zelinski, autore di How to Retire Happy, Wild and Free (“Come vivere la pensione in modo felice, libero e avventuroso”) propone soluzioni molto creative per evitare situazioni frustranti mentre si è all’inizio del percorso alla riscoperta di noi stessi. 

In caso di nuove conoscenze, invece di dire: “sono Pinco Pallo e sono pensionato”, ci si può presentare come “Connoisseur of Leisure” (Campione di Tempo libero), oppure “Connoisseur of Life” (Degustatore della Vita) 

Un escamotage altrettanto interessante è quello di avere con sé dei biglietti da visita con nome, cognome, indirizzo e titoli fantasiosi come: “New Age Aristocrat” (Aristocratico/a New Age), o “President of the Too Prosperous to Work Society” (Presidente della Società Troppo Ricchi per Lavorare). Con questo stratagemma porgiamo il nostro profilo migliore, come quando ci si mette in posa per una foto o ci si fa un selfie trasmettendo, così, un’immagine positiva.

Sono dei suggerimenti utili dati da un esperto in materia: non è facile ricostruirsi su due piedi, ci vuole tempo.

Allo stesso modo, è altrettanto importante dare un ritmo alle nostre giornate, disegnare una nostra agenda personale recuperando il significato di “struttura”.

Nella fase di transizione fra l’attività lavorativa e la vita in pensione, ad esempio, uno degli errori più comuni dei neopensionati è quello di ricreare una situazione di stress affastellando un numero infinito di cose nella propria to-do-list.

Invece di prendersi cura di sé e di riportare a galla il vero io, si tende a replicare il vecchio schema legato alla performance. Un po’ come il gatto che si morde la coda, o qualcosa del genere.

Ecco la mia esperienza.

 

La mia giornata tipica nella fase di transizione

Vita in pensione: qual è la giornata perfetta?

  • Non avevo nulla che mi facesse alzare dal letto con entusiasmo, ma mi svegliavo presto replicando i ritmi di quando andavo a lavorare.
  • Mi dedicavo a una serie di lavori di manutenzione della casa (ne ho contati più di quaranta in un mese).
  • Evitavo di parlare con gli amici del mio disagio, quindi mi crogiolavo nella mia solitudine.
  • Seguivo quotidianamente le notizie relative alla mia azienda che non facevano che aumentare la nostalgia.
  • Rimuginavo molto.

La mia giornata ora

Vita in pensione: qual è la giornata perfetta?
Vita in pensione: qual è la giornata perfetta?
  • Mi alzo dal letto con entusiasmo.
  • Gestisco la mia agenda settimanale con una certa flessibilità (non riempio mai tutta la giornata).
  • Vado a fare una camminata di almeno 1 ora immergendomi nella natura.
  • Leggo le notizie del giorno, seguo social e interagisco con altri blogger.
  • Mi dedico alla scrittura degli articoli e a un nuovo progetto (stay tuned!).
  • Vado in palestra (due volte la settimana).
  • Faccio sempre un paio di telefonate agli amici per quattro chiacchiere e per organizzare qualcosa insieme.
  • Mi ritaglio uno spazio per vedere qualche mostra o partecipare a qualche evento locale.

Conclusioni

È importante dare una struttura alle nostre giornate coerentemente alle nostre aspirazioni e alle nostre passioni.

Utilizzare la creatività nel nostro percorso può dare una mano per superare i momenti di crisi mettendoci in una posizione di forza.

Seguire l’esempio dei nostri modelli di riferimento permette di adottare soluzioni pratiche in modo più rapido ed efficace.

 

Ora tocca a te:

Qual è la tua giornata ideale? Se non sei ancora in pensione, hai già immaginato che aspetto avrà?

Come ti presenti agli altri? Hai pensato a un titolo che ti rappresenti “qui ed ora” o usi l’imperfetto “ero… facevo…”?

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